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«Un gay in TV non fa più scalpore»

Un pozzo molto frequentato in Namibia: Mario ama scoprire altre culture. (Foto: messa a disposizione)
Un pozzo molto frequentato in Namibia: Mario ama scoprire altre culture. (Foto: messa a disposizione)

Mario Grossniklaus è conosciuto come conduttore di vari programmi televisivi della SRF come Tageschau, Arena e Club. Dallo scorso novembre, il giornalista 46enne è socio della sezione Network di Zurigo.

Mario, tu hai già moderato due eventi per Network.
Veramente erano tre.

Cominciamo bene! Pensavo al Club Dinner con Corine Mauch lo scorso autunno e alla recente tavola rotonda per le votazioni di Zurigo.
Esatto, ma dimentichi il mio primissimo impegno per Network, che risale a quasi 11 anni fa: ho moderato una tavola rotonda all’assemblea generale del 2012. In quell’occasione entrai per la prima volta in contatto con l’associazione. Ma all’epoca non avevo ancora una posizione dirigenziale, cosa che nel frattempo è cambiata. Nel 2019 ho consultato di nuovo il sito di Network e mi sono detto: «È esattamente quello che cerco.» Ho partecipato ad alcune manifestazioni, ma poi è arrivata la pandemia e sono rimasto lontano dalla folla per un lungo periodo di tempo. L’anno scorso ho preso infine la mia decisione. Con Christian Schwarz e Jean-Michel Priou mi sono stati assegnati due sponsor fantastici, che mi hanno fatto conoscere l’associazione da due punti di vista ugualmente arricchenti.

Quindi, nell’associazione, ti senti a tuo agio.
Sì, decisamente! Apprezzo molto le piacevoli conversazioni agli aperitivi così come incontrare persone interessanti provenienti dalle più svariate categorie professionali. Il clima è sempre gioviale e rispettoso. Così è possibile affrontare anche temi controversi, il che è molto importante perché solo così si può crescere.

In futuro pensi che condurrai altri eventi di Network?
Non lo escludo, ma fare il conduttore fa parte del mio lavoro, mentre nell’associazione voglio impegnarmi in primo luogo a livello personale e svolgere anche compiti che non hanno nulla a che fare con la mia professione. Quest’anno sarà un po’ difficile impegnarmi, visto che vi saranno le elezioni e io ho assunto la direzione del relativo progetto della SRF.

Parliamo ancora un attimo del tuo lavoro: c’è un personaggio che vorresti a tutti i costi intervistare?
Bella domanda. Le etichette sono noiose, a me interessano le persone che ci sono dietro. Nelle interviste le persone «importanti» spesso non sono così interessanti. Preferisco conoscere tante più persone e culture possibili e scoprire quali realtà esistono al di fuori della nostra piccola Svizzera.

Quindi non hai un idolo?
Non ho mai avuto un idolo. Nemmeno da adolescente avevo i poster delle star attaccati alle pareti della mia stanza. Più tardi, ho fatto il reporter dal WEF, dove mi è capitato di incontrare Matt Damon sulle strade di Davos o Boris Johnson che cenava al tavolo accanto al mio. Ma le celebrità non fanno più presa su di me. Anche se devo ammettere che presentare il servizio sul funerale di Nelson Mandela mi ha toccato profondamente. Per la prima volta mi sono occupato intensamente della sua figura e mi sono reso conto con rammarico che non avrei mai più potuto conoscerlo di persona. Dopo questa esperienza cerco di non rimandare più le cose che ritengo importanti. Mi preme dedicarmi a ciò che mi sta a cuore finché ne ho l’opportunità.

A volte i ruoli si invertono, come ora, e tu non sei l’intervistatore bensì l’intervistato. Ti disturba se si parla della tua omosessualità? O è una buona occasione per favorire la visibilità?
No, non mi disturba. La mia omosessualità è solo una parte di me e accetto anche domande specifiche sull’argomento. In realtà, tuttavia, non mi sembra che questo aspetto della mia vita sia spesso nel ciclone dei media, da quando il quotidiano Blick lo ha reso pubblico circa 13 anni fa. A quanto pare, nella nostra società, essere gay ormai è diventata una cosa normale.

Hai mai ricevuto messaggi di odio di stampo omofobo?
Finora mai! Mi stupisce, perché di commenti molto critici ne riceviamo parecchi. In genere riguardano questioni politiche; sulla mia persona, ogni tanto ricevo qualche critica per la mia barba, che a certe spettatrici non piace. Tutto questo è un buon segno, perché significa che un gay in TV non fa più scalpore.

Intervista: Silvan Hess
Traduzione: Angelo Caltagirone

 

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