fbpx Aller au contenu principal

Fondo di solidarietà 9.12.24

network lotta insieme a un iraniano gay per una vita più sicura

(Foto: Raphael Renter, Unsplash)

Nonostante la minaccia della pena di morte, le autorità svizzere volevano rimandare in Iran un uomo gay. Ora ha vinto la causa davanti alla Corte europea dei diritti umani. Anche grazie a network.

Successo a Strasburgo
Dopo che Kian (nome fittizio) era stato minacciato dalla sua stessa famiglia per via della sua omosessualità, è stato costretto a lasciare il suo Paese d’origine, l’Iran. Una fuga drammatica lo ha portato attraverso la Turchia e la Serbia fino in Ticino.

Questo succedeva nel 2019. Da allora Kian, che oggi ha 34 anni, lotta in Svizzera non solo per il diritto di soggiorno, ma anche per la sua identità di uomo gay. La Segreteria di Stato della migrazione voleva espellere Kian con la seguente motivazione: se tiene segreta la propria omosessualità, può vivere in Iran senza pericolo. «Assolutamente assurdo», afferma il responsabile regionale ticinese Emilio Motta. «Con una tale argomentazione le persone perseguitate per motivi religiosi potrebbero semplicemente nascondere la propria religione e quelle perseguitate per motivi politici le loro opinioni.

network e altre organizzazioni, insieme a un intero team di avvocate e avvocati, hanno ora dato una svolta a questo caso portandolo davanti alla Corte europea dei diritti umani.

Incontro a Chiasso
È stata l’organizzazione umanitaria SOS Ticino ad attirare l’attenzione di Emilio sul caso. Kian era già seguito in quel periodo dallo psicologo e socio di network Andrea Locher di Queeramnesty.

Emilio è andato a Chiasso per conoscere Kian e la sua storia. «È stato un incontro molto toccante che mi ha spinto a contattare immediatamente il nostro Consiglio direttivo e il Fondo di solidarietà per scoprire come potevamo aiutarlo nel modo più efficace possibile», racconta Emilio. È rimasto «molto impressionato» con quanta disponibilità ad aiutare e ad agire si fossero mossi tutti i soci di network contattati.

È emerso rapidamente che la partecipazione alle spese legali era il supporto più sensato che network potesse fornire. Così, le organizzazioni hanno alla fine incaricato un team di avvocate e avvocati per rivolgersi a Strasburgo, tra cui anche Stephanie Motz, il cui impegno Emilio ci tiene a sottolineare in modo particolare.

«Arricchimento per il nostro Paese»
La Corte europea dei diritti umani ha «ammonito» le autorità svizzere per la loro sentenza del 12 novembre 2024 e ha chiesto loro di riesaminare il caso. Ha aggiunto anche che occorre tener conto di come le condizioni di vita per le persone LGBTI siano peggiorate ulteriormente da quando Kian è fuggito. Emilio si chiede, giustamente: «Se arrestano, torturano e uccidono le donne perché non indossano correttamente il velo, cosa succederà allora a un uomo omosessuale?» L’Iran è uno dei nove Paesi al mondo in cui gli uomini rischiano la pena di morte per atti omosessuali.

Le possibilità che le autorità svizzere cambino idea dopo questa sentenza e che Kian possa restare qui, sono molto buone. Nel frattempo, Kian continua a impegnarsi a titolo volontario con Queeramnesty e sta imparando l’italiano da solo: perché vuole costruirsi un futuro in Ticino. «È una persona speciale e un arricchimento per il nostro Paese», dice Emilio. Si augura che Kian possa sentirsi sicuro e benvenuto in Svizzera.

E cosa desidera Kian per sé stesso? «Una vita del tutto normale», ha risposto a questa domanda in un’intervista con Tamedia. Per lui, una vita così è però pensabile solo in Svizzera e non in Iran: «Quest’anno sono stato al Pride di Zurigo e ho visto che qui si può vivere senza paura. Le persone ballavano allegramente e indossavano ciò che volevano. Non importa chi sei, qui non devi nasconderti. Se qualcuno me l’avesse raccontato quando ero ancora in Iran, non ci avrei creduto.»

iscrizione alla newsletter